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Il contributo di Jacques Maritain al dibattito sulla libertà religiosa e sull’umanesimo

Il contributo di Jacques Maritain al dibattito sulla libertà religiosa e sull’umanesimo

27 jul 2017

Umanesimo e libertà religiosa

Torino, Facoltà teologica, 16 marzo 2016

Il contributo di Jacques Maritain al dibattito sulla libertà religiosa e sull’umanesimo

Vittorio Possenti (Università di Venezia)

Introduzione. Nella presentazione dell’attuale convegno si domanda se la libertà religiosa possa costituire uno snodo decisivo per un nuovo umanesimo, quel ‘nuovo umanesimo in Gesù Cristo’ assunto come titolo del Convegno ecclesiale di Firenze di pochi mesi fa. Delle cinque vie per mettersi in ascolto dell’uomo là suggerite: uscire, annunciare, trasfigurare, educare, abitare, assumo come preferita la terza, trasfigurare, poiché mi sembra la più consona al mio tema. Un nuovo umanesimo in Gesù Cristo non può che essere un umanesimo trasfigurato dall’Incarnazione e dalla Resurrezione. Questo “umanesimo integrale” va testimoniato anche nello spazio pubblico, offrendo un contributo da parte dei credenti all’edificazione della casa comune: così si è espresso papa Francesco a Firenze. E ha aggiunto che è opportuno non solo discutere e dialogare, ma operare insieme, di modo che possano emergere maggiori convergenze.
Il titolo assegnato chiede di rivolgere uno sguardo particolare verso l’opera di J. Maritain alla luce della libertà religiosa e dell’umanesimo. I due nuclei si richiamano obiettivamente per tanti aspetti, ma non è facile tenerli insieme nell’esposizione, in quanto richiederebbero ciascuno ampi sviluppi, che potrò dedicare solo alla questione della libertà religiosa.
Siamo nell’80mo anniversario di Umanesimo integrale (1936) uno dei testi più importanti del pensiero cristiano del XX secolo che ha gettato semi in tante direzioni, e che possiede una profonda attualità: un nuovo umanesimo in Gesù Cristo è il problema centrale del libro di Maritain tutto imperniato intorno all’umanesimo dell’incarnazione, e che intorno a quest’asse ha cercato di prospettare un nuovo tipo di civiltà personalista, comunitaria e teista. Sarebbe certo opportuna una rilettura di Umanesimo integrale negli attuali tempi postmoderni, e forse qualcuno sta tentando l’impresa. Prima di essere un umanesimo politico, che pur è centrale nel filosofo francese, quello di Maritain è umanesimo teocentrico, un umanesimo tomista e patristico, in cui l’Incarnazione del Verbo è il centro del cosmo e della storia : è il punto focale del circolo dell’intero disteso tra l’exitus a Deo e il reditus ad Deum. L’umanesimo dell’incarnazione stabilisce il centro del Concilio Vaticano II, e si riassume nella discesa del divino nell’umano: “In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (GS, n. 22) .
Taluni, accaparrati dalla questione del peccato originale, ritengono che non possa parlarsi di umanesimo integrale né dell’umanesimo dell’Incarnazione del Verbo, poiché la caduta avrebbe corrotto l’intera sostanza umana. A mio parere l’umanesimo teocentrico in Gesù Cristo non mette da parte la condizione umana che sa conoscere e riconoscere, assumendola e operando per trasformarla. Tale umanesimo sa accogliere la sofferenza o l’orgoglio della creatura indirizzandole verso l’alto, e tentando senza riposo di rendere più vivibile la città terrestre e le società. Quando Paolo VI parlava di umanesimo plenario aveva chiaro in mente che senza Dio l’uomo può costruire la terra, ma la costruirà contro l’uomo (cfr. Evangelii Nuntiandi).
Maritain, i diritti umani e la libertà religiosa. Volgendomi ora verso la libertà religiosa, vorrei esplorare il contributo offerto da Maritain alla causa dei diritti umani. Il filosofo francese ha offerto un apporto molto sostanzioso su questi aspetti, a partire dalla fine degli anni ’30 del secolo scorso, e poi proseguito a lungo. Il suo impegno per la causa dei diritti umani sfocerà infine nella Dichiarazione universale del 1948; per quanto riguarda la questione dei diritti umani e della libertà religiosa nel magistero cattolico nuove prospettive si manifesteranno con l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) e con la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio (1965).
Tra i segnali di tale impegno notevole è la lettera del 21 novembre 1941 al generale de Gaulle, allora alla guida del movimento della France libre e capo del governo provvisorio francese a Londra. Si tratta di una lettera ampia da cui traggo un breve brano. Per installare nel mondo contemporaneo una “cité fraternelle”, osserva Maritain, “noi abbiamo bisogno di un linguaggio nuovo. È una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo [rispetto a quella del 1789]…è una tale promessa che potrà terminare di risvegliare il nostro popolo e aiutarlo a riprendere le sue energie e virtù”. Maritain esprime la speranza che si possa riconciliare nella vita il cristianesimo e la libertà, le due tradizioni che gli stanno a cuore: quella di san Luigi di Francia e quella della Dichiarazione del 1789 .
Pochi mesi dopo la lettera a de Gaulle il filosofo francese pubblica a New York dove era in esilio l’opera Les droits de l’homme et la loi naturelle (cfr. vol. VII delle OC, pp. 619-695). Opera di mole ridotta ma assai sostanziosa in cui l’autore delinea i fondamenti di una società di uomini liberi, svolge l’idea di un umanesimo politico ed elabora sistematicamente un elenco di diritti della persona umana, provenienti dalla mano di Dio e collegati alla legge morale naturale. L’elenco include i diritti della persona umana come tale, quelli civili e quelli sociali con particolare attenzione ai diritti del mondo operaio, del lavoro e del sindacato. Il libro ebbe durante e dopo la 2° guerra mondiale un notevole ascolto, influenzò la stesura della Dichiarazione universale del 1948 e l’accoglienza dei diritti umani nell’enciclica Pacem in terris, secondo un elenco che ricalca da vicino quello offerto da Maritain vent’anni prima .
Riferendoci ai diritti della persona umana come tale, l’autore enumera alcuni diritti fondamentali tra cui il diritto all’esistenza, alla libertà personale, al perseguimento della perfezione della vita umana razionale e morale, il diritto della società familiare al rispetto della propria costituzione, che è fondata sulla legge naturale, non sulla legge dello Stato . E aggiunge per quanto riguarda la religione: “Diritto al perseguimento della vita eterna secondo la via che la coscienza ha riconosciuta come la via tracciata da Dio”. Poco prima aveva illustrato il contenuto di tale diritto, definito come il primo: “Il primo di questi diritti della persona umana è quello di andare verso il destino eterno nella strada che la sua coscienza ha riconosciuto come la strada tracciata da Dio. Di fronte a Dio e alla sua verità, essa non ha diritto di scegliere a suo gradimento una qualsiasi strada; deve scegliere il vero cammino per quanto sia in suo potere di conoscerlo. Ma di fronte allo Stato, alla comunità temporale e al potere temporale, essa è libera di scegliere la sua vita religiosa a suo rischio e pericolo; la sua libertà di coscienza è un diritto naturale inalienabile” (p. 74s).
Siamo qui al cuore stesso della concezione teista che il filosofo francese esprime con particolare vigore: “La persona umana è ordinata direttamente a Dio come al suo fine ultimo assoluto, e questa ordinazione diretta trascende ogni bene comune creato, bene comune della società politica e bene comune intrinseco dell’universo” . L’ordinazione diretta a Dio della persona trascende lo Stato e la società politica, i quali non possono impedire tale movimento. E’ importante aggiungere che la fondamentale distinzione tra ciò che riguarda Dio e ciò che concerne lo Stato è alla base della Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa del Concilio Vaticano II. Il suo titolo completo merita di essere citato: “Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae sul diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa” . Con la approvazione della Dichiarazione parve che l’ultimo bastione della ‘resistenza cattolica’ alla modernità venisse meno e che il terreno fosse spianato per la vittoria dell’interpretazione liberale della libertà e la privatizzazione della religione. Per vari aspetti non è stato così: la Chiesa ha riconosciuto il valore della libertà religiosa in ambito civile senza però intenderla secondo lo schema liberal-libertario; nello stesso tempo negli anni ’60 era cominciato un mutamento nella filosofia pubblica liberale più avvertita: non più critica della religione ma una sorta di neutralità e benevola indifferenza nei suoi confronti .
Il volumetto maritainiano ebbe larga circolazione in America, in Francia e altrove, innescò nel pensiero cattolico un esteso dibattito e come già osservato influenzò in profondità la Dichiarazione del 1948. Questa dedica alla libertà religiosa l’art. 18: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. Merita ricordare l’Arabia Saudita si astenne dal votare la Dichiarazione proprio per il tema della libertà religiosa, e la freddezza della Santa Sede per la Dichiarazione del 1948, durata abbastanza a lungo.
Durante il secolare dibattito sui diritti umani si era posta la cruciale questione sulla loro origine, che dura tuttora: diritti provenienti da Dio e fondati nella legge naturale, oppure diritti ritenuti un prodotto o una creazione storica. Il filosofo francese punta risolutamente verso i diritti provenienti dalla mano di Dio e radicati nella legge morale naturale, ossia inerenti alla natura umana, e perciò alla portata della ragione umana. “La vera filosofia dei diritti della persona umana si fonda sull’idea della legge naturale. La stessa legge naturale che ci prescrive i nostri più fondamentali doveri, e in virtù della quale ogni legge obbliga, è essa pure quella che ci assegna i nostri diritti fondamentali” . Viene così introdotto un legame indissolubile tra diritti e doveri, che vale anche per la libertà religiosa: la persona ha diritto alla libertà religiosa in quanto ha il dovere (e il diritto) di cercare la verità, e gli altri sono obbligati a rispettarlo in questa ricerca.
Maritain avanzò un giudizio favorevole sulla Dichiarazione del 1948: importante in specie il suo intervento nel volume Autour de la nouvelle déclaration des droits de l’homme (Paris 1949), uscito a cura dell’Unesco, che voleva offrire un contributo per la Dichiarazione del ’48, e che interpellò a livello mondiale numerosi testimoni (filosofi, storici, sapienti, antropologi, etc). Maritain rispose all’inchiesta Unesco nel giugno 1947 e riprese il tema a Città del Messico, nel novembre dello stesso anno. Fu allora che si assunse la decisione di pubblicare l’inchiesta dell’Unesco: Julian Huxley, allora direttore generale dell’Unesco, domandò a Maritain di stendere la prefazione al volume che sarà subito dopo presentato alla commissione dell’Onu per i diritti umani, incaricata di redigere il testo della Dichiarazione.
Dopo il 1948 il filosofo francese tornerà sul tema della libertà religiosa in L’uomo e lo Stato (1951) e in Il filosofo nella società (1957). Qui si legge: “Non c’è tolleranza reale e autentica se non quando un uomo è fermamente e assolutamente convinto di una verità o di ciò che ritiene una verità, e quando, nel medesimo tempo, riconosce a quelli che negano tale verità il diritto di esistere e di contraddirlo e quindi di esprimere il loro pensiero, non perché siano liberi nei confronti della verità, ma perché cercano la verità a modo loro e perché rispetta in essi la natura umana e la dignità umana, e quelle risorse e quelle sorgenti vive dell’intelligenza e della coscienza che li rendono, in potenza, capaci di attingere anche loro la verità che egli ama, se un giorno arriveranno a vederla” .
Questo brano si può collegare – è Maritain stesso che lo fa poche pagine prima – con la dottrina molte volte riproposta da H. Kelsen secondo cui coloro che pretendono di conoscere la verità o la giustizia non possono essere democratici in quanto non possono ammettere un punto di vista diverso dal proprio, che anzi vorranno imporre con la forza. Dunque per Kelsen la democrazia è indissolubilmente legata al relativismo filosofico più acuto in base al quale essa deve rispettare ogni tipo di opinione politica, qualsiasi sia il suo contenuto (sto esprimendomi con le stesse parole dell’autore). Onde solo quando nessuno sa la via da seguire, solo allora ci si può affidare alla decisione del popolo sovrano. Maritain commenta queste posizioni mostrandone la fragilità e osservando che una verità imposta è un atto detestabile: l’essere umano “è tenuto, in virtù della sua natura, a cercare di condurre i propri compagni a partecipare di ciò che egli conosce o pretende di conoscere come vero e come giusto, non con la coercizione, ma con mezzi razionali, e cioè la persuasione…E non si domanda al popolo di decidere perché si sia coscienti della propria ignoranza riguardo a ciò che è il bene, ma perché conosciamo questa verità e questo bene, e cioè che il popolo ha diritto all’autogoverno” (p. 64).
Durante il Concilio Maritain ritorno sulla libertà religiosa per rispondere ad una richiesta di Paolo VI. Il papa aveva inviato a Tolosa – dove Maritain viveva in una baracca presso i Piccoli Fratelli – Mons. P. Macchi suo segretario e Jean Guitton per sottoporre al filosofo alcune questioni da discutere in vista dell’ultimo periodo conciliare, tra cui il tema della libertà religiosa. Maritain risponde con quattro scritti di cui il primo è dedicato alla libertà religiosa: oltre ad offrire considerazioni in merito, egli rinvia al cap. VI di L’uomo e lo Stato, in cui si trova l’illustrazione più compiuta delle sue idee sul rapporto tra Chiesa e Stato, sull’applicazione dei principi immutabili nelle varie epoche storiche .
La conferma del rilievo della libertà religiosa per Maritain si trova nel Paysan de la Garonne (1966), nell’incipit in cui il filosofo rivolge una preghiera di ringraziamento e di esultazione alla Chiesa riunita nel Concilio da poco concluso. Del ringraziamento ad ampio raggio pongo in rilievo la parte concernente la libertà religiosa: “Si esulta al pensiero che è stata ora proclamata la libertà religiosa , – ciò che così si chiama non è la libertà che io avrei di credere o di non credere secondo le mie disposizioni del momento e di crearmi arbitrariamente un idolo, come se non avessi un dovere primario verso la Verità; è la libertà che ogni persona umana ha, di fronte allo Stato o a qualsiasi potere temporale, di vigilare sul proprio destino eterno cercando la verità con tutta l’anima e conformandosi ad essa quale la conosce, di ubbidire secondo la propria coscienza a ciò che ritiene vero riguardo alle cose religiose (la mia coscienza non è infallibile, ma io non ho mai il diritto di agire contro di essa)” .
La Dichiarazione DH tratta del diritto alla libertà civile nelle materie religiose; non entra in dispute filosofiche e teologiche sulla natura della religione, e neppure concede il relativismo in materia religiosa. Essa pone fine alla lunga epoca della religione di Stato iniziata verso la fine del IV secolo con l’editto di Tessalonica del 380 promulgato dagli imperatori Graziano, Teodosio e Valentiniano II che rendeva il cristianesimo religione di Stato (e successivamente confermato negli editti teodosiani del 391-392 con proibizione dei culti pagani). Epoca che si è convenuta poco esattamente di chiamare ‘costantiniana’ a partire dall’editto di Milano del 313, ma che meglio si deve chiamare ‘epoca teodosiana’ in quanto in quell’edito si riconosceva la legittimità del culto cristiano come culto lecito, accanto ad altre fedi. In certo modo la Chiesa del Concilio opera un ritorno alla Chiesa antica preagostiniana e preteodosiana, la quale chiedeva di non essere obbligata a rendere culto all’imperatore, di fondarsi sulle proprie Scritture e fede, e non rivendicava un primato civile.
Durante e dopo il Concilio Paolo VI e Giovanni Paolo II esprimeranno l’importanza della libertà religiosa. Per il primo richiamo il discorso all’Onu (4 ottobre 1965): “Ciò che voi proclamate qui sono i diritti e i doveri dell’uomo, la sua dignità, la sua libertà, e prima di tutto la libertà religiosa”. Gli fece eco Giovanni Paolo II nel discorso all’Onu (2 ottobre 1979), in cui la libertà religiosa venne presentata come la sintesi di tutti i diritti umani, e la Carta del 1948 considerata “una pietra miliare sulla via del progresso morale dell’umanità”.

Sul nesso tra la persona e la religione. La libertà religiosa è da intendere secondo tre rapporti: della persona con la religione e la verità, con le autorità civili, con gli appartenenti ad altre religioni. Tutti e tre gli aspetti sono fondamentali, e di fronte ad essi incontriamo oggi specifici equivoci: quello liberal-libertario, assai diffuso in Occidente, secondo cui la coscienza individuale autocentrata è assolutamente libera dinanzi al vero ed è legge a se stessa, errore che spesso implica un alto relativismo; l’equivoco ‘confessionale’ o teocratico, diffuso in specie al di fuori dell’Occidente, di imporre civilmente una religione come religione di Stato, facendo di un fattore trascendente come una fede religiosa un fattore di identità civile attraverso un inestricabile connubio tra spirituale e temporale, e ponendo in atto un atteggiamento ostile verso le minoranze religiose. Dinanzi a queste situazioni ci si appella a buon diritto al dialogo, di cui però ci si forma un’idea talvolta razionalistica e talaltra enfatica, quasi che basti un dialogo a carattere intellettuale per avanzare nella comprensione dei vari punti di vista che si sono formati lungo cicli secolari per non dire millenari. I due aspetti che considero più rilevanti sono il primo in cui occorre liberare l’occidente dall’infausta dottrina del relativismo etico e dalla pretesa kantiana dell’io quale autolegislatore morale. Il secondo urgente elemento è la difesa di una reale libertà religiosa in quei Paesi, e non sono pochi ed anzi aumentano, in cui esiste una religione di Stato con conseguenti gravi violazioni del diritto alla libertà religiosa delle minoranze.
Là dove lo Stato e la società vengano immediatamente fondati su una religione e il suo codice religioso ed etico di appartenenza, è quasi fatale che la struttura della società sia considerata in qualche modo di ‘diritto divino’, qualcosa come il supposto diritto divino dei re in Europa nell’epoca dell’assolutismo; e perciò che coloro che non riconoscono tale pretesa siano considerati come nemici da espellere.
Queste urgenze sono oggi avvertite nella chiesa cattolica e in quella ortodossa, come si evince nella recente dichiarazione congiunta di papa Francesco e di Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia (12 febbraio 2016): ”Siamo preoccupati per la situazione in tanti paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse. In particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica”.
Bisogna riprendere in senso non liberal-libertario la questione della libertà religiosa in Occidente, dove l’idea stessa di libertà è ridotta solo ad un’autodeterminazione che fa perno su se stessa e recide i legami con il bene comune. Forse in merito si può notare una certa precipitazione della Chiesa e della cultura cristiana del postconcilio ad accogliere i diritti umani senza determinarne meglio i fondamenti e la giustificazione che difficilmente possono essere quelli propri della filosofia liberale. L’operazione è di particolare rilievo, poiché sotto lo stesso lemma (diritto alla vita, libertà religiosa, diritto al lavoro, etc) si possono celare notevoli divergenze ermeneutiche, che conducono a prassi che tra loro hanno poco in comune.
L’importanza della libertà religiosa proviene anche dalla persuasione che il suo esercizio possa impedire o temperare lo scatenamento della violenza legato al fatto religioso, e che essa aiuti a edificare un rapporto più amico tra credenti e noncredenti, o tra credenti in diverse fedi, allontanando lo spirito di contesa e di vendetta, il proselitismo aggressivo, e favorendo lo scambio e la comprensione. Affinché questo esito sia raggiunto bisogna lasciare indietro l’ideologia del relativismo che pone tutto sullo stesso piano e la posizione che fonde in un blocco compatto religione e politica e che considera la prima il massimo fattore di identità e di coesione civile
La libertà religiosa si motiva in base all’idea che l’essere umano, in virtù del suo valore di fine, ha diritto a cercare liberamente il fine ultimo e va rispettato come soggetto, nonostante il rifiuto o il riserbo critico di altri sulle sue credenze. In certo modo la libertà religiosa possiede due aspetti: è una norma giuridica garantita da leggi, ed è un atteggiamento di apertura verso l’altro, quindi qualcosa di più della tolleranza. In ogni caso tolleranza e libertà religiosa si presentano (anche) come virtù politiche, che favoriscono la convivenza tra persone. Queste sono le vere e reali destinatarie della tolleranza e della libertà: si deve essere tolleranti e rispettosi verso i soggetti, mentre non è detto che lo stesso trattamento debba essere riservato ad ogni idea o dottrina, verso le quali non è saggio esercitare una indifferente neutralità; esse sono soggette a necessarie verifiche critiche, tanto più efficaci quanto più serene e ponderate .

Conclusioni

1. La libertà religiosa fiorisce se la società opera secondo forme e regole democratiche e rispetta il canone della non coincidenza tra legge civile e legge canonica (o coranica). Per procedere occorre partire dalla società, non dallo Stato soltanto: i mutamenti imposti dall’alto in genere durano poco e non penetrano in profondità. Nel frattempo si segnalano serie lentezze nel riconoscimento del diritto alla libertà religiosa in numerosi paesi, perlopiù esterni all’Occidente, ed anzi la ripresa di gravi e perduranti fenomeni di intolleranza a base religiosa, in cui si può essere soggetti al linciaggio e/o a durissime condanne per la propria fede. I principali focolai di una crescente intolleranza si riscontrano in Paesi dell’area islamica e nell’induismo.

2. Occorre che i popoli e le religioni trovino nel loro patrimonio spirituale e culturale i migliori valori, per andare incontro all’altro, nel tentativo di cercare una condivisione leale a vantaggio di tutti. Giorgio La Pira invitava spesso a guardare gli eventi della storia dalla ‘terrazza di Abramo’, come diceva nel suo linguaggio fatto di concetti e di immagini. Nella comune radice rappresentata da Abramo i credenti delle tre religioni monoteistiche possono trovare un punto di incontro di particolare rilevanza.

3. In generale la libertà religiosa va garantita e difesa contro le sue negazioni, ma anche contro le sue interpretazioni oltranziste che partono da un’alta polarizzazione soggettiva del Diritto e dei diritti presente oggi, a cui è assegnato il compito di soddisfare le mutevoli pretese dei singoli. Il soggettivismo dei diritti e l’oblio dei doveri, attivo in Occidente, non può che sfociare in un relativismo indifferenti sta in cui i cittadini non si sentono più parte di un compito comune. Il diritto alla libertà religiosa non configura un diritto alla felicità; si fonda sulla dignità della persona, sulla sua coscienza e sul ‘dovere’ di cercare la verità e il senso della vita, nei limiti variabili delle proprie possibilità.
In generale nella questione dell’umanesimo e dei diritti umani non è sufficiente assumere a fondamento un criterio aprioristico di chiusura verso la trascendenza, che nutre in se stesso un principio immanentistico e uno trascendentalistico, pronti a dire no. Il primo significa una rivendicazione d’indipendenza dell’interno in rapporto all’esterno, per cui verità e bene sono esclusivamente interni al soggetto umano (qui il criterio dell’autolegislazione kantiana è spinto all’eccesso); il secondo significa che non vi è alcun dato che ci misuri ma che il nostro io intimo trascende e domina ogni dato: l’io è sempre il centro misurante e mai misurato. Dinanzi a questi erramenti l’umanesimo del Concilio e l’umanesimo integrale di Maritain esprimono un umanesimo teocentrico, attento con Pascal alla grandezza e alla debolezza dell’umano .

¹Cfr. l’enciclica Redemptor hominis di Giovanni Paolo II.
²Segnalo vari miei titoli in cui viene approfondito il pensiero di Maritain, toccata la questione dei diritti umani e della libertà religiosa, nonché quella dell’umanesimo: Una filosofia per la transizione. Metafisica, persona e politica in J. Maritain, Massimo, Milano 1984; Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria 2007; “Da ‘Umanesimo integrale’ a ‘Il contadino della Garonna’. Novità e continuità”, “Humanitas”, n. 4, 1984, pp. 610-628; “Stretto è il cammino…(Crisi del moderno, transizione, nuova cristianità), “Per la filosofia”, n. 8, settembre-dicembre 1986, pp. 9-20, e in AA. VV., Umanesimo integrale e nuova cristianità, a cura di P. Nepi e G. Galeazzi, Massimo, Milano 1986, pp. 122-140; “Il problema della (nuova) cristianità. Revisione e ripresa”, in AA.VV., Maritain, i Papi e il Concilio Vaticano II, a c. di G. Galeazzi, Massimo, Milano 2000, pp. 54-83. Verso una nuova cristianità? Nel cinquantenario di “Umanesimo integrale”, “Aggiornamenti sociali”, n. 7-8, luglio-agosto 1986, pp. 543-560.

³“Lettre de Jacques Maritain au Général de Gaulle », Cahiers Jacques Maritain, nn. 16-17, avril 1988, p. 62s.

4L’enciclica comprende un riferimento al tema della libertà religiosa: “Ognuno ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza; e quindi il diritto al culto di Dio privato e pubblico” (n. 14).

5I diritti dell’uomo e la legge naturale, a cura di V. Possenti, Vita e Pensiero, Milano 1977, p. 100s. Cfr. J-Y. Calvez, “I diritti dell’uomo secondo Maritain”, in AA. VV., Jacques Maritain: la politica della saggezza, a c. di V. Aucante e R. Papini, Rubbettino, Soveria 2005, pp. 101-111; D. Lorenzini, Jacques Maritain e i diritti umani, Morcelliana, Brescia 2012.

6La Persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia 1998, p. 10, corsivi miei.

7Sull’influsso di Maritain sul Concilio vedi il mio Una filosofia per la transizione, cit., e lo studio L’influsso di J. Maritain sul Concilio Vaticano II, “Alpha Omega”, vol. 17, n. 3, 2014, pp. 445-462.

8Un’analisi dei principali contenuti della DH è in L’uomo postmoderno, cit., pp. 212-226.

9J. Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, cit, p. 61. Sul necessario equilibrio tra diritti e doveri il filosofo francese è intervenuto più volte; si veda ad es. il volume XVI delle Oeuvres complètes: la grande opera di instaurare i diritti umani “si è compiuta al prezzo di uno sviamento ideologico nel campo teorico o della filosofia della ragione umana. Si è cessato di prestare attenzione alle obbligazioni e ai doveri dell’uomo per non parlare che dei suoi diritti, mentre una visione autentica e comprensiva considera insieme le obbligazioni e i diritti contenuti nelle esigenze della legge naturale”, p. 716 (questa frase fa parte di dieci lezioni sulla legge naturale e rimonta al 1950). Espressioni pressoché identiche sono nella Pacem in terris. Il testo di Maritain è un esempio di come non sussista una divaricazione – spesso soltanto presupposta – tra legge morale naturale classica e diritti umani.
10Sul problema della giustificazione dei diritti cfr. Fondazione dei diritti umani, “Studium”, n. 6, 2015, pp. 878-900, e il volume Diritti umani. L’età delle pretese, in corso di pubblicazione presso Rubbettino.

11J. Maritain, “Tolleranza e verità”, Il filosofo nella società, Morcelliana, Brescia 1976, p. 66s.
Il testo del memorandum sulla libertà religiosa inviato a Paolo VI è in OC, vol. XVI, pp. 1086-1091.

12 Il contadino della Garonna, Morcelliana, Brescia 1969, p. 11.
13 Sulla questione se debba parlarsi di violenza delle religioni o di violenza nelle religioni rinvio a L’uomo postmoderno, cit., in cui sostengo che non esiste un legame necessario tra religione e violenza: la violenza è presente ovunque, anche nelle religioni, ma non si dà un nesso indissolubile tra loro e la violenza. Si possono portare innumerevoli esempi di violenze esercitate dalle religioni, ma nessuna prova che debba essere così: la violenza manifesta la patologia del sentimento religioso, non la fisiologia. Le accuse rivolte alle religioni come sorgenti d’intolleranza e di odio rischiano di coprire uno degli aspetti più oscuri dell’esperienza umana, di bloccare la riflessione che esso richiede, equivocando in merito all’abissale e molteplice origine della violenza in noi: che è un evento antropologico, ossia qualcosa che tocca la struttura costitutiva e la condizione esistenziale dell’essere umano. Soprattutto il volere (desiderio, odio, ostilità, fanatismo), sia pure nutrito da semiverità troncate, nega all’altro il suo volto di essere umano e scatena il desiderio di annientamento.

14 Cfr. V. Possenti, Il realismo e la fine della filosofia moderna, Armando, Roma 2016